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Tumoroidi stampati in 3D per testare i farmaci anticancro

Una tecnica non invasiva permette lo screening di migliaia di organoidi tumorali a livello delle singole popolazioni di cellule, comprese quelle da cui deriva la resistenza ai farmaci.

Per testare in vitro i farmaci contro il cancro, i ricercatori stanno iniziando a usare avatar tridimensionali dei tumori che crescono all’interno dell’organismo. Ma questi “tumoroidi” non riproducono esattamente la diversità tra le popolazioni cellulari che compongono il tumore, spesso all’origine dei fenomeni di resistenza ai farmaci o di comparsa delle metastasi. Grazie a una tecnica non invasiva basata sull’interferometria, un gruppo dello UCLA Jonsson Comprehensive Cancer Center (California, Stati Uniti) è riuscito ad analizzare contemporaneamente la risposta ai farmaci di varie sub-popolazioni cellulari in migliaia di tumoroidi stampati in 3D senza distruggerli, con una serie di misurazioni ripetute nel tempo. I risultati sono stati pubblicati su Nature Communications.

Un tumoroide deriva da campioni di tessuto tumorale prelevati da pazienti oncologici, che i ricercatori riescono a crescere in laboratorio in condizioni simili a quelle fisiologiche. Come gli organoidi, repliche in miniatura degli organi realizzate in laboratorio, così anche i tumoroidi ricapitolano l’organizzazione spaziale a tre dimensioni dei tumori che crescono nel corpo umano. Questi modelli costituiscono uno strumento di indagine prezioso per studiare i tumori in vitro, senza le limitazioni delle colture cellulari classiche a due dimensioni o dei modelli animali, che pur essendo tridimensionali hanno caratteristiche diverse dall’essere umano e un costo più elevato.

I tumoroidi permettono di testare in vitro l’effetto dei farmaci su un “avatar” del tumore che cresce all’interno dell’organismo. Questa possibilità apre nuovi scenari nel panorama della medicina di precisione, perché permette di sapere in anticipo se il tumore del paziente risponderà o meno al trattamento e di stabilire un piano terapeutico personalizzato. Ma molte delle potenzialità di questa tecnologia non sono ancora state sfruttate. Un grosso nodo da sciogliere è la capacità di questi modelli di riprodurre l’eterogeneità intra-tumorale, ovvero la diversità tra le cellule di un singolo tumore. Sarebbe un errore considerare il tumore come una massa unica e omogenea: molto più spesso, invece, contiene popolazioni cellulari diverse, alcune più sensibili alle terapie e altre più resistenti, grazie alle quali molti tumori resistono ai trattamenti o formano metastasi aggressive. 

Nei modelli in vitro, la sfida non è solo riprodurre la diversità delle popolazioni cellulari, ma anche monitorare la risposta ai farmaci nel tempo, che può produrre dei cambiamenti nel numero, nella forma o nell’organizzazione di queste cellule. In altre parole, i ricercatori dovrebbero poter catturare immagini dell’interno del tumoroide, senza alterare o distruggere la sua struttura tridimensionale. Ma la maggior parte dei metodi di analisi è di tipo distruttivo, cioè non mantiene integra la struttura per successive misurazioni. L’informazione che ne deriva, inoltre, è solo una “media” delle caratteristiche delle popolazioni cellulari che compongono l’organoide: rappresenta la maggioranza, ma non cattura le piccole differenze tra una cellula e l’altra.

I ricercatori dello UCLA Jonsson Comprehensive Cancer Center hanno quindi studiato un nuovo sistema di imaging basato sull’interferometria cellulare ad alta velocità (HSLCI), un approccio non-distruttivo ad altissima risoluzione, che permette di caratterizzare anche le singole popolazioni resistenti ai farmaci. L’interferometria usa la luce come un sensibile strumento di misura: un laser viene puntato sul bersaglio e un sensore ottico misura lo spostamento della luce trasmessa attraverso il campione rispetto all’originale. Questa tecnica permette di calcolare in tempo reale la densità di massa del tessuto, che correla direttamente con i processi biosintetici e degradativi che avvengono all’interno delle cellule.

I ricercatori hanno usato la tecnica della biostampa 3D per produrre organoidi tumorali più simili possibile ai tumori veri. Un sottile strato di cellule è stato “stampato” su una base di proteine extracellulari, riproducendo le caratteristiche istologiche del tessuto originale senza alterare l’espressione dei geni. Grazie alla tecnica HSLCI i ricercatori sono stati in grado di misurare contemporaneamente le masse di migliaia di tumoroidi stampati in 3D. Queste misurazioni non danneggiano né distruggono gli organoidi, permettono quindi un’analisi non invasiva della crescita delle singole popolazioni cellulari nel tempo, prima e dopo il trattamento con diversi farmaci. Anche all’interno di campioni molto omogenei, il team ha identificato piccoli gruppi di cellule che al contrario della maggioranza non rispondono alle terapie: questi nuclei resistenti spesso sono quelli che danno origine a recidive o a metastasi, perché non vengono eliminati dai trattamenti di prima linea.

Questa tecnologia può essere importante per lo studio dei meccanismi di resistenza ai farmaci e accelerare le attività di screening. In poche ore, i ricercatori sono stati in grado di identificare quali organoidi sono sensibili o resistenti a determinate terapie: la speranza per il futuro è di utilizzare questi modelli come avatar dei pazienti, per selezionare l’opzione di trattamento migliore per ciascuno. 

 

fonte: Osservatorio Terapie Avanzate